ElezioneModifica

Articolo principale: Conclave papale, 1549-1550

Paolo III morì il 10 novembre 1549, e nel conclave che ne seguì i quarantotto cardinali si divisero in tre fazioni: delle fazioni primarie, quella imperiale voleva vedere riconvocato il Concilio di Trento, quella francese voleva vederlo abbandonato. La fazione farnesiana, fedele alla famiglia del papa precedente, sostenne l’elezione del nipote di Paolo III, il cardinale Alessandro Farnese, e anche la rivendicazione della famiglia sul ducato di Parma, contestata dall’imperatore Carlo V.

Né i francesi né i tedeschi favorivano del Monte, e l’imperatore lo aveva espressamente escluso dalla lista dei candidati accettabili, ma i francesi furono in grado di bloccare le altre due fazioni, permettendo a del Monte di promuoversi come candidato di compromesso ed essere eletto il 7 febbraio 1550. Ottavio Farnese, il cui sostegno era stato cruciale per l’elezione, fu immediatamente confermato come duca di Parma. Ma, quando Farnese chiese aiuto alla Francia contro l’imperatore, Giulio si alleò con l’imperatore, dichiarò Farnese privato del suo feudo, e inviò truppe sotto il comando di suo nipote Giambattista del Monte per cooperare con il duca Gonzaga di Milano nella cattura di Parma.

Riforme della ChiesaModifica

All’inizio del suo regno Giulio aveva seriamente desiderato di realizzare una riforma della Chiesa cattolica e di riconvocare il Concilio di Trento, ma ben poco fu effettivamente realizzato durante i suoi cinque anni di mandato. Nel 1551, su richiesta dell’imperatore Carlo V, acconsentì alla riapertura del concilio di Trento ed entrò in una lega contro il duca di Parma ed Enrico II di Francia (1547-59), causando la Guerra di Parma. Tuttavia, Giulio venne presto a patti con il duca e la Francia e nel 1553 sospese le riunioni del concilio.

Enrico aveva minacciato di ritirare il riconoscimento al Papa se il nuovo Papa fosse stato di orientamento filo-asburgico, e quando Giulio III riconvocò il Concilio di Trento, Enrico bloccò i vescovi francesi dal partecipare e non fece rispettare i decreti papali in Francia. Anche dopo che Giulio III sospese nuovamente il Concilio, continuò a fare il prepotente con il papa perché si schierasse contro gli Asburgo minacciando lo scisma.

Statua di bronzo a Perugia, 1555

Giulio si accontentò sempre più della politica italiana e si ritirò nel suo lussuoso palazzo a Villa Giulia, che fece costruire per sé vicino alla Porta del Popolo. Da lì passava il tempo in comodità, emergendo di tanto in tanto per fare timidi sforzi per riformare la Chiesa attraverso la ricostituzione delle commissioni di riforma. Fu amico dei gesuiti, ai quali concesse una nuova conferma nel 1550; e attraverso la bolla papale, Dum sollicita dell’agosto 1552, fondò il Collegium Germanicum, e concesse una rendita annuale.

Durante il suo pontificato, il cattolicesimo fu restaurato in Inghilterra sotto la regina Maria nel 1553. Giulio inviò il cardinale Reginald Pole come legato con poteri che poteva usare a sua discrezione per aiutare il successo della restaurazione. Nel febbraio 1555, un inviato del Parlamento inglese fu inviato a Giulio per informarlo della sottomissione formale del paese, ma il papa morì prima che l’inviato raggiungesse Roma.

Poco prima della sua morte, Giulio inviò il cardinale Giovanni Morone a rappresentare gli interessi della Santa Sede alla Pace di Augusta. La sua inattività durante gli ultimi tre anni del suo pontificato potrebbe essere stata causata dai frequenti e gravi attacchi di gotta.

Lo scandalo InnocenzoModifica

Il papato di Giulio fu segnato da scandali, il più notevole dei quali è incentrato sul nipote adottivo del papa, Innocenzo Ciocchi Del Monte. Innocenzo del Monte era un mendicante adolescente trovato per le strade di Parma che fu assunto dalla famiglia come umile cameriere nella loro residenza principale; l’età del ragazzo fu variamente indicata in 14, 15 o 17 anni. Dopo l’elevazione di Giulio al papato, Innocenzo Del Monte fu adottato in famiglia dal fratello del papa e, da Giulio, fu prontamente creato cardinale-nipote. Giulio ricoprì il suo favorito di benefici, compreso quello di commendatario delle abbazie di Mont Saint-Michel in Normandia e di San Zeno a Verona, e, più tardi, delle abbazie di Santa Saba, Miramondo, Grottaferrata e Frascati, tra le altre. Quando cominciarono a circolare voci sulla particolare relazione tra il papa e il suo nipote adottivo, Giulio si rifiutò di accettare consigli. I cardinali Reginald Pole e Giovanni Carafa misero in guardia il papa dalle “cattive supposizioni cui darebbe luogo l’elevazione di un giovane senza padre”.

Il poeta Joachim du Bellay, che visse a Roma in questo periodo al seguito del suo parente, il cardinale Jean du Bellay, espresse in due sonetti della serie Les regrets (1558) la sua opinione scandalizzata di Giulio, odiando vedere, scrisse, “un Ganimede con il cappello rosso in testa”. Il cortigiano e poeta Girolamo Muzio in una lettera del 1550 a Ferrante Gonzaga, governatore di Milano, scrisse: “Scrivono molte cose cattive su questo nuovo papa; che è vizioso, orgoglioso e strano di testa”, e i nemici del papa fecero capitale lo scandalo. Thomas Beard, nel Teatro del giudizio di Dio (1597) disse che era “custome di Giulio … promuovere nessuno alle livree ecclesiastiche, salvo solo i suoi buggeratori”. In Italia, si diceva che Giulio mostrasse l’impazienza di un “amante che aspetta un’amante” mentre aspettava l’arrivo di Innocenzo a Roma e si vantava delle prodezze del ragazzo a letto, mentre l’ambasciatore veneziano riferiva che Innocenzo Del Monte condivideva il letto del papa “come se fosse suo figlio o nipote”. “Nonostante il danno che lo scandalo stava infliggendo alla Chiesa, fu solo dopo la morte di Giulio nel 1555 che si poté fare qualcosa per frenare la visibilità di Innocenzo. Subì un esilio temporaneo in seguito all’omicidio di due uomini che lo avevano insultato, e poi di nuovo in seguito allo stupro di due donne. Cercò di usare le sue connessioni nel Collegio Cardinalizio per perorare la sua causa, ma la sua influenza svanì, e morì nell’oscurità. Fu sepolto a Roma nella cappella della famiglia Del Monte. Un risultato dello scandalo del cardinale-nipote, tuttavia, fu l’aggiornamento della posizione del Segretario di Stato Pontificio, poiché il titolare doveva assumere i compiti che Innocenzo Del Monte non era in grado di svolgere: il Segretario di Stato alla fine sostituì il cardinale-nipote come il più importante funzionario della Santa Sede.