Che sia ispirato da Shepherd o no, l’umorismo di Silverstein ha permeato molte delle canzoni che ha scritto e che sono diventate successi pop e country, tra cui “One’s on the Way” di Loretta Lynn, “The Unicorn” degli Irish Rovers e “The Cover of Rolling Stone”, una Top Ten di Dr. Hook and the Medicine Show. Ma fu con il racconto sconclusionato di un padre che abbandonò un bambino di 3 anni, lasciando il bambino con nient’altro che una vecchia chitarra, una bottiglia di liquore vuota e un nome che avrebbe dovuto difendere (a volte violentemente) per tutta la vita. In un giorno di metà luglio a Gatlinburg, Tennessee, il nostro eroe finalmente raggiunge il “cane sporco e rognoso” che gli ha affibbiato quel nome, mentre l’azione si svolge come una scena di un film di Quentin Tarantino, con un orecchio tagliato, denti rotti e un sacco di fango, sangue e birra. Tutto è bene quel che finisce bene, comunque, perché il padre spiega che il nome era il suo modo di assicurarsi che suo figlio sarebbe stato più duro, dato che non sarebbe stato in giro per aiutarlo a crescere e ad essere duro.
Le cose finirono piuttosto bene anche per Cash, dato che “A Boy Named Sue” divenne il suo più grande successo pop, raggiungendo il numero due per tre settimane, tenuto lontano dal primo posto da “Honky Tonk Women” dei Rolling Stones nell’estate del 1969, proprio quando Cash iniziò il suo periodo di due anni come conduttore della sua serie di varietà sulla ABC.
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La star avrebbe eseguito per la prima volta “A Boy Named Sue” al The Johnny Cash Show all’inizio di settembre, e l’avrebbe ripresa più volte durante le due stagioni dello show. Cantava il brano in duetto con gli ospiti Bob Hope, Jane Morgan (che registrò il disco “risposta” del 1970, “A Girl Named Cash”). Lo eseguì anche in un’altra serie della ABC, The Tom Jones Show. E’ appropriato che Cash e lo scrittore della canzone, Shel Silverstein, facciano squadra in un episodio dello show di Cash che andò in onda per la prima volta il giorno del Pesce d’Aprile del 1970.
Distinto dalla sua testa calva, dalla barba e dalla voce roca, Silverstein si siede con Cash e parla dei suoi “strani” libri per bambini, e Cash riconosce il ruolo che “A Boy Named Sue” ha giocato nell’elevare il suo profilo pubblico come intrattenitore. All’inizio della canzone, i due artisti si alzano e camminano verso un’altra parte del set, mentre strimpellano le loro chitarre. La voce di Silverstein è più gridata che cantata, mentre i due eseguono una versione troncata della hit, eliminando il verso finale con il “son of a bitch” (che Cash ha spesso censurato ricreando il bleep che spesso si sente al suo posto). Mentre Cash esce di scena, Silverstein parla del suo stretto rapporto con il proprio padre ed esegue la sua struggente “Daddy, What If”, che Bobby Bare e suo figlio di 6 anni, Bobby Bare Jr, avrebbero poi registrato ed eseguito insieme, guadagnandosi una nomination ai Grammy del 1974. “A Boy Named Sue” vinse una coppia di Grammy per Cash (Best Country Vocal Performance, Male) e Silverstein (Best Country Song), 46 anni fa oggi, l’11 marzo 1970, tre settimane prima della data di messa in onda di questa performance.
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